martedì 16 dicembre 2008

lettera dei docenti del Pigafetta

Agli Studenti del Liceo “A. Pigafetta”
Alle loro Famiglie
Agli organi di stampa

Vicenza, 9 Dicembre 2008

Vogliamo condividere con voi alcune riflessioni a proposito dei recenti provvedimenti di legge sulla Scuola.

Alcuni di noi lavorano in questo Liceo da anni, altri sono arrivati da poco; insegniamo materie diverse, con metodi diversi; abbiamo spesso anche idee e visioni diverse; tutti però crediamo nel valore educativo e formativo della Scuola Pubblica, fondato sulla trasmissione libera e paritaria della cultura, un bene essenziale cui ognuno deve poter accedere.

Oggi, proprio questo bene è in pericolo.

Sappiamo che credete anche voi nel valore dell’istruzione. Con voi ci confrontiamo quotidianamente, cercando di arrivare nel modo migliore alla soluzione dei problemi, anche quando questi sembrano irrisolvibili, in uno scambio continuo, che ci arricchisce professionalmente e umanamente.

Siamo convinti che la scuola debba essere viva e disponibile al confronto e per questo desideriamo esprimervi le nostre profonde preoccupazioni. La cosiddetta “Legge Gelmini” e l’art. 64 della L. 133/08 (Finanziaria 2008) impoveriscono e sviliscono il sistema dell’Istruzione Pubblica nel suo complesso, dalla Primaria all’Università, non risparmiando alcuna componente scolastica.

Pensiamo anche noi, come il Consiglio Nazionale della Pubblica Istruzione, che le scelte operate dall’attuale Governo “comportino, per entità e modalità degli interventi finanziari e di natura normativa, una destrutturazione del sistema scolastico pubblico ed una netta riduzione quantitativa e qualitativa dell’offerta formativa” (CNPI, adunanza del 17.XI.2008).

Tali scelte si traducono in tagli indiscriminati di ore di lezione, discipline curricolari, cattedre e posti di lavoro, vale a dire dell’offerta formativa globale che la Scuola Pubblica italiana normalmente propone. Gli 8 miliardi di euro sottratti dai tagli sono sì un risparmio immediato in termini finanziari, ma compromettono pesantemente il futuro di un Paese che ha bisogno, per sostenere il confronto con le altre nazioni sviluppate, di innalzare il suo livello educativo.

Siamo convinti che solo la qualità, la ricchezza e la democraticità dell’Istruzione Pubblica possano garantire una crescita culturale e umana equilibrata, capace di generare effetti positivi anche in ambito sociale ed economico. La Scuola italiana ha bisogno di riforme ponderate, di investimenti oculati, di ristrutturazioni intelligenti, non di tagli.

Riteniamo che sia necessario procedere a una riforma ragionata e pedagogicamente fondata del sistema scolastico nazionale, che nasca da un “vero confronto nel Paese a partire dal coinvolgimento di insegnanti, dirigenti e altri operatori della scuola” (CNPI).

Il Collegio Docenti del nostro Liceo ha già espresso pubblicamente il suo dissenso in merito alle misure predette, nonché la preoccupazione per le conseguenze che ne deriveranno (documento approvato all’unanimità dei presenti il 4.XI.2008).

Inoltre, un folto gruppo di docenti - pur aderendo autonomamente con diverse valutazioni alle singole iniziative di protesta - ha avviato una serie di azioni sindacali per riportare l’attenzione generale sul momento di crisi che sta vivendo la Scuola, perché sia chiaro che non si può semplicemente restare a guardare come un patrimonio costruito a fatica, in anni di lavoro, viene dissipato irragionevolmente.

La sospensione delle visite d’istruzione e delle uscite che comportino l’uso di mezzi di trasporto pubblici o privati, l’indisponibilità per i corsi di recupero organizzati dal Liceo, l’offerta di momenti di scuola aperta e di occasioni di informazione e confronto sui provvedimenti legislativi vogliono essere altrettanti segnali di inconformità, ma anche di dialogo con tutte le parti interessate.

Ci dispiace per i disagi che alcune di queste azioni possono provocare; d’altra parte, crediamo che valga la pena alzare la voce oggi per non dover rimpiangere, domani, di aver taciuto e contribuito così al declino del nostro Paese, rinunciando a uno dei doveri precipui del nostro ruolo di cittadini e di docenti.


I docenti del Liceo “A. Pigafetta”
seguono 70 firme

1 commento:

Anonimo ha detto...

MINISTRO GELMINI, QUELL’ESPRESSIONE NON VA ………E NON SOLO

Alla cortese attenzione dell'onorevole Mariastella Gelmini
e p.c. Presidente CNUDD Prof. Paolo Valerio


Oggetto: osservazioni sull’espressione “studenti diversamente abili” utilizzata nel decreto per i criteri ripartizione stanziamento per interventi studenti diversamente abili anno 2008
Illustrissimo Sig. Ministro,
sono un operatore che lavora da anni nel campo della disabilità e in particolare nei Servizi universitari di supporto agli studenti universitari con disabilità.
Le scrivo sollecitato dalla lettura del Decreto Ministeriale 28 agosto 2008 prot. n. 159/2008, da Lei firmato, in cui campeggia l’espressione “studenti diversamente abili”, sulla quale vorrei proporLe alcune brevi considerazioni.
Mi permetta di partire da una frase illuminante di Giuseppe Pontiggia apposta come dedica a un suo bel libro: «A tutte le persone disabili che lottano, non per diventare uguali agli altri, ma se stessi». Tale dedica ci interpella tutti, nessuno escluso.
In nessun ambito della vita le parole sono chiacchiere, tantomeno nell’ambito del sistema formativo formale (quello di Sua competenza come Ministro): nella correzione dei temi contano perfino gli accenti e gli apostrofi, si immagini quindi il peso specifico delle parole! La mia non vuole essere una mera disputa lessicografica o semantica, nell’uso di certi termini sono in ballo questioni più profonde, che concernono il rispetto vero delle persone, delle loro storie di vita e della loro condizione esistenziale.
L’espressione “studenti diversamente abili” è sempre più diffusa nel mondo dell'informazione e della politica, ma moltissimi fra i più competenti, preparati e appassionati operatori italiani nell'area delle disabilità hanno eccepito vigorosamente su di essa. Le riporto alcuni esempi: la teologa Adriana Zarri scrive che questa «ridicola e ipocrita definizione rappresenta il colmo dell'imbarbarimento e, in fondo, dimostra una mancata accettazione di uno stato di difficoltà»; Andrea Pancaldi parla di termine «carico di ambiguità»; il giornalista Franco Bomprezzi denuncia una «deriva linguistica che, nell'enfatizzare le capacità di alcuni, ignora le persone con maggiori difficoltà». Carlo Giacobini, poi, descrive il “neologismo” con acuta ironia come «un ansiolitico linguistico, utile al massimo a mettere in pace la coscienza di coloro che non si sono mai fatti carico sino in fondo di questi problemi».
Personalmente ritengo che si tratti di un tentativo maldestro di "sdoganare" le disabilità, rimuovendo (o se si preferisce camuffando) le difficoltà reali che assillano giorno per giorno gli studenti universitari con disabilità. Invece di lottare per affermare nella prassi quotidiana il diritto all'uguaglianza di opportunità, si inseguono goffamente modelli efficientisti ed estetici. Qualcuno potrebbe obiettare che l’espressione mira a valorizzare le abilità residue (quando ci sono), il che è sicuramente doveroso ma ha come indispensabile presupposto il riconoscimento leale e oggettivo delle limitazioni delle attività, non la loro rimozione attraverso operazioni di ‘cosmesi comunicativa’.
L'inserimento e l'inclusione sono possibili, da una parte, mediante provvedimenti amministrativi che favoriscano i progetti di vita indipendente di ciascuno (e quindi mettendo in campo investimenti); dall'altra, attraverso processi culturali di accettazione lunghi e complessi, che non solo non passano attraverso la proposta di nuove e ambigue definizioni ma possono addirittura essere da esse ostacolati.
Gli studenti universitari con disabilità hanno bisogno di servizi, e non di questi biglietti da visita ingenui, e anche fuorvianti.
Infine, vale la pena ricordare che il termine diversamente abile non ha nessun rigore scientifico, né alcuna valenza sul piano legislativo ed è intraducibile in altre lingue. L'Organizzazione Mondiale della Sanità, che il 22/5/2001 ha approvato la Classificazione Internazionale del Funzionamento, della Disabilità e della Salute, suggerisce di usare il termine "persone disabili" o "persone con disabilità".Mi auguro, Sig. Ministro, che non voglia liquidare questa mia lettera come un semplice esercizio di pedanteria e puntigliosità semantica, ma intenderla come un piccolo contributo sulla strada da percorrere per la piena promozione dei diritti di cittadinanza delle persone con disabilità e per la creazione delle condizioni perché possano essere se stesse e non quello che noi vogliamo che siano.
E allora, mi creda Sig. Ministro, tutti noi saremo più autenticamente noi stessi.

Napoli 19/01/2009
Carmine Rizzo