mercoledì 9 febbraio 2011

Sabato 5 febbraio a Vicenza

Grande partecipazione al gazebo!

Scambi vivaci di opinioni con genitori, insegnanti, studenti e cittadini indignati per i tagli alla scuola pubblica e allarmati per la precaria e dissestata situazione del paese.
“Non se ne può più!” l’esternazione più ricorrente.


Più di 150 firme raccolte per la petizione al Presidente Napolitano in un solo 'freddo' pomeriggio.

Attenzione e curiosità per la rappresentazione teatrale itinerante per le piazze della città con attori improvvisati che hanno impersonato genitori attoniti davanti alle continue e sempre più evidenti carenze delle scuole (tocca a noi far fronte a tutto questo?). seguirà un filmato

Tra i documenti e i volantini distribuiti pubblichiamo
  • la lettera di Giuseppe Caliceti alla Gelmini
  • la riforma dell'Università al microscopio del collettivo degli studenti di Vicenza

LETTERA AL MINISTRO GELMINI: “PERCHÉ DOVREMMO ESSERE CONTENTI?”

Cara Gelmini, lei continua a parlare di riforma epocale. In realtà si tratta di un grande pasticcio. I suoi tagli sconsiderati a fondi e personale mettono in ginocchio la scuola pubblica e depotenziano ai minimi storici l’offerta formativa a studenti e alunni. E in più di un punto contraddice alcuni articoli della nostra Costituzione e alcune leggi dello Stato che dovrebbe conoscere. Bisognerebbe che si informasse di più. Bisognerebbe che sapesse come i tagli alle elementari, cancellando la compresenza, di fatto cancellano il tempo pieno, fatto di tempi distesi e lavoro a piccoli gruppi di livello, laboratori e uscite didattiche, trasformandolo in una sorta di doposcuola che penalizza fortemente la qualità dell’apprendimento e dello star bene a scuola degli alunni. Bisognerebbe che tenesse sempre presente come i Paesi Ocse spendono in media il 5,7% del Pil per il loro sistema scolastico, mentre l’Italia spende solo un vergognoso 4,5%. E rileggesse la nostra Costituzione quando parla di scuola laica e gratuita. Mentre oggi i genitori degli alunni devono sborsare contributi. In alcuni casi anche di 150/200 euro. Per la normale manutenzione delle scuole pubbliche che frequentano i loro figli, che spetterebbe a lei. Scuole che vantano nei confronti del ministero dell’Istruzione crediti che vanno dai cento ai duecentomila euro.

Ancora: smetta, per favore, di raccontarci la favoletta del rapporto troppo alto tra docenti e studenti in Italia dimenticandosi sempre, colpevolmente, degli studenti disabili e dei docenti di sostegno. Che esistono, non sono ancora gettati dalla rupe. Non sa che questi docenti non sono calcolati, in altri Paesi, perché spesso legati al ministero della Sanità e non dell’Istruzione? Non si rende conto che i numeri che dà, in questo modo, sono palesemente falsi? Attualmente la legge parla di un insegnante di sostegno ogni due alunni con disabilità. Mentre lei, nonostante la certificazione delle Asl, garantisce che questi bambini siano seguiti solo 4/6 ore a settimana. Lo so, non c’è niente di meno economico di un bambino disabile, ma le sembra onesto e civile comportarsi come fa lei? Dovrebbe inoltre studiare meglio la legislazione sulla sicurezza nelle scuole. Sono sicuro che lei, come ministro, è tenuta a farla rispettare. Prevede un massimo di 25 alunni per aula, lo sa? Mentre lei parla di un minimo di 27 e un massimo di 35 studenti per classe. E per aula, dunque. Le chiedo: in caso di incendio o terremoto, in caso di incidenti, o di morte di uno studente, chi è il responsabile di quella morte annunciata? Lei? O i docenti che si adeguano alle sue indicazioni? E poi: lei, Gelmini, è al corrente del fatto che alle medie, con la sua manovra, non esistono più laboratori espressivi, corsi di italiano per stranieri, interventi di recupero e potenziamento? Non crede che in questo modo non favorirà l’integrazione?

È sicura che cancellare ogni tipo di sperimentazione nei licei risponda a una reale esigenza di rinnovamento? O non si tratta di una semplice questione di risparmio? E quali motivazioni didattiche l’hanno spinta a eliminare ore di lezione anche negli Istituti tecnici e professionali e nei licei? Cosa significa, per lei? Che meno stanno a scuola, più i ragazzi imparano? Insomma, perché, come lei sostiene, i genitori degli alunni e degli studenti italiani dovrebbero essere soddisfatti della sua riforma?

                                                                             di Giuseppe Caliceti
22 settembre 2010
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LA RIFORMA DELL'UNIVERSITÀ AL MICROSCOPIO

Cosa prevede la legge di riforma degli atenei approvata dal Parlamento?

Diciamo subito quella approvata è una legge delega, che deve essere attuata da successivi decreti legislativi. Con tutta probabilità, passeranno diversi mesi prima che tali decreti vengano approvati (sempre che naturalmente il Governo non cada, eventualità che potrebbe far slittare di qualche anno l’effettiva entrata in vigore della riforma stessa).

L’effetto immediato della riforma sarà quello di bloccare tutte le procedure di reclutamento di ricercatori e docenti universitari.

All'articolo 2 si prevede l’inserimento nei consigli d’amministrazione degli atenei di non meglio definite “personalità italiane o straniere in possesso di comprovata competenza in campo gestionale ovvero di un’esperienza professionale di alto livello con una necessaria attenzione alla qualificazione scientifica culturale”; si apre cioè la strada all’ingresso di personalità provenienti dal mondo della politica e da quello dell’imprenditoria.

Un colpo mortale all’autonomia universitaria e alla libertà di ricerca; i “baroni” interlocutori del Governo si mostrano disposti ad accettare in cambio di un significativo incremento del loro potere nelle procedure di selezione e di reclutamento del personale.

Il disegno di legge di riforma crea inoltre le condizioni per un bel taglio alle borse di studio per dottorati. Perchè? La precedente legge 218/1990 (Norme per il reclutamento dei ricercatori e dei professori universitari di ruolo) prevede, infatti, all’art. 4 che con appositi decreti dei Rettori delle università si stabilisca ogni anno “il numero, comunque non inferiore alla metà dei dottorandi, e l’ammontare delle borse di studio da assegnare, previa valutazione comparativa del merito”.

Ora, l’art. 17 bis della riforma abroga le parole “comunque non inferiore alla metà dei dottorandi”, e qui viene meno una norma di garanzia che imponeva il finanziamento di almeno la metà dei posti messi a concorso per dottorati di ricerca (tradotto: la ricerca in Italia si fa gratis…).

Ma sempre lo stesso articolo fa di più: riformando la legge 476/1984, articolo 2, aggiunge un fumoso “compatibilmente con le esigenze dell’amministrazione” (che tutti possiamo facilmente tradurre), riguardo alla regolamentazione di congedi e dottorati di ricerca per il perfezionamento.

Conseguito un dottorato di ricerca, i pubblici dipendenti non possono più aspirare a partecipare ad altri dottorati (anche senza gravare sull’amministrazione); risparmiare è l'imperativo, anche a discapito della preparazione e della specializzazione di amministratori pubblici e di docenti.

Come accennato prima, il senso complessivo di questa parte è che la ricerca in Italia si deve fare a costo zero e senza svolgere altri impieghi. Meglio dedicarsi ad altro.
l ricercatore a tempo determinato: i nuovi ricercatori saranno selezionati mediante procedure pubbliche disciplinate dalle università con apposito regolamento e nel rispetto di alcuni criteri enunciati dallo stesso disegno di legge di riforma (art. 21).

Potranno aspirare al contratto i possessori del titolo di dottore di ricerca o di titolo equivalente, oppure, per i settori interessati, del diploma di specializzazione medica. Altri requisiti saranno stabiliti dai singoli atenei.

L’articolo 21 della riforma disciplina i contratti dei ricercatori a tempo determinato, che possono essere di due tipi: contratti di durata triennale prorogabili per soli due anni, per una sola volta, previa positiva valutazione delle attività didattiche e di ricerca svolte, effettuata sulla base di modalità, criteri e parametri definiti con decreto del Ministro, e contratti triennali non rinnovabili, riservati a candidati che hanno usufruito dei contratti del primo tipo (o di analoghi contratti in atenei stranieri).

Alla fine dei sei (o otto nel migliore dei casi), o si diventa associati o si va a casa. La nuova disciplina, pertanto, incrementa il precariato e non toglie alcun potere (anzi lo incrementa) ai cosiddetti 'baroni', dato che la selezione e la stabilizzazione dei neoricercatori spetterà sempre e comunque a questi ultimi.

Per diventare professore non sarà più necessario effettuare un concorso. L’art. 16 istituisce, infatti, l’abilitazione scientifica nazionale che avrà durata quadriennale e attesterà la qualificazione scientifica che costituirà requisito necessario per l’accesso alla prima e alla seconda fascia dei professori.

Scommettiamo? L’abilitazione nazionale verrà riconosciuta sulla base di standard non eccelsi, e, di conseguenza, il potere di reclutamento resterà tutto nelle mani degli ordinari 'baroni'.

L'epocale riforma annunciata dal ministro, basata su meritocrazia e contro il potere del baronato, si basa su tre punti:

1) ridurre drasticamente posti e finanziamenti alle università;

2) far entrare l’imprenditoria privata e la politica negli atenei pubblici;

3) accentuare sensibilmente il peso degli ordinari nella definizione delle politiche accademiche allo scopo di far “digerire” loro la condivisione del potere con imprenditori e politici.

A voi il giudizio.

Noi studenti in questi mesi ci siamo mobilitati in tutta Italia dall’8 ottobre al 16 ottobre e ancora il 14(in occasione della fiducia al Governo) e il 22 dicembre(quando è stata definitivamente approvata la riforma), ma la nostra lotta non è finita. Il 28 gennaio siamo inoltre scesi in piazza a fianco di tutti i lavoratori in occasione dello sciopero della Fiom, infatti nel contesto della crisi che sta vivendo il sistema capitalista, si inserisce l’attacco e la precarizzazione sia del mondo del lavoro sia dell’istruzione pubblica. Per questo oggi noi studenti ci sentiamo vicini a tutti gli operai Fiat ed esprimiamo la nostra solidarietà anche a tutti quei lavoratori che hanno perso il loro posto e sono oggi in cassa integrazione ma presto saranno senza reddito, cassintegrati e quindi disoccupati. Disoccupati che possono essere i nostri genitori, sarà quindi sempre più difficile mantenere i nostri studi sia alle scuole superiori che all’università con l’aumento delle tasse. L’unico modo per uscire dalla crisi e scendere in piazza tutti insieme, studenti e lavoratori uniti nella lotta per chiedere il ritiro della riforma.

COLLETTIVO STUDENTI SCUOLA PUBBLICA - VICENZA

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