Care colleghe, cari colleghi,
alla luce delle recenti esternazioni della politica, sento il bisogno di rivolgermi a voi per condividere pensieri che portino altri pensieri, per coltivare il ”nostro giardino” .
Ognuno di noi è portatore di peculiarità, esperienze, tratti caratteriali, idee e sa che la scuola non è uno specchio che raffiguri un’ immagine sola, ma la coesistenza di alterità, una magnifica commistione di differenze, talvolta anche di contraddizioni.
Ciò nonostante ognuno di noi interpreta il suo ruolo, è sempre in campo, agisce e talvolta sbaglia, prerogativa esclusiva di chi non rinuncia mai a scegliere.
Scegliere è un atto di libertà, ma solo chi sa assumersene la responsabilità può goderne, chi non si nasconde dietro parole vuote, chi non ha schermi protettivi, chi non cerca il consenso, chi sa di non possedere carte vincenti ma solo carte da giocare.
Ogni giorno abitiamo le nostre aule come parti della nostra casa, concordiamo regole di convivenza alle quali per primi ci assoggettiamo, tessiamo trame delicate, annodiamo i fili rotti, ci vestiamo di questi abiti e di nuovo ci sentiamo nudi perché niente è per sempre, niente ripara dal freddo e dal sole, se la Terra si muove.
Viviamo nelle nostre comunità: mondi di bellezza che faticano a svelarsi, forme acerbe di futuro, grumi di emozioni contrastanti, energie sfrenate, talvolta identità silenti e l’unica chiave di accesso a questa varietà è la nostra disponibilità ad ascoltare.
Un educatore non “inculca”, non ha cervelli da riempire, non distribuisce informazioni facilmente reperibili altrove in tempi assai più brevi, non ammaestra, non doma, non plagia. Non ha ideologie da sponsorizzare come merce di scambio, non ha dogmi religiosi da usare per frantumare, non deve convincere, non cerca voti. Non ha una platea da infiammare, è parte della platea, intreccia relazioni e, se sbaglia, è fuori da ogni comunicazione.
Un educatore non ha un’unica storia da raccontare, ma molte storie da ascoltare, pretesti per riconoscersi, per affermare la propria esistenza, il proprio diritto a chiedere, il dovere di rispettare chi ha qualcosa da domandare.
Un educatore dà valore a chi c’è stato prima di lui, non è onnipotente, non ha l’esclusiva, non crede nelle semplificazioni, non teme la complessità.
Non è un tifoso, non ha una squadra da difendere, è un giocatore e il suo massimo insegnamento è quello di giocare il suo ruolo fino in fondo.
Non gareggia con chi svolge il suo stesso compito, non sventola bandiere per tracciare confini territoriali, non ha paura di chi ha un’idea diversa dalla sua. Un educatore non ha paura delle idee, crede nelle parole quando respirano, dà valore alle esperienze.
Un educatore non compra, non vende, scambia e quello è il suo unico modo per diventare ricco.
Insegnante scuola pubblica
2 marzo 2011
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